CENNI STORICI

La storia del Convento dei Cappuccini di Sanremo è celebre per la sua ricchezza tanto eventi straordinari quanto di avversità, che hanno reso memorabile la storia della chiesa stessa e dei frati che hanno contribuito alla sua realizzazione.

«Pochi conventi ebbero vicende così contrarie come quello di S.Remo, giunto sino a noi, con tre secoli e più di vita, ma spoglio della sua impronta cappuccina, che per l’addietro lo rese un soggiorno delizioso […] In questi ultimi anni un quartiere nuovo, elegantissimo è sorto attorno al chiostro; alberghi, palazzi, giardini, ritrovi di piacere, viali ombreggiati da palmizi accolgono, nei mesi invernali, una folla cosmopolita, attratta dalla mitezza del clima»

Così esordisce Padre Francesco Zaverio nella sua opera “I cappuccini Genovesi”, volume secondo dedicato ai conventi, pubblicato nel 1914.
La storia che ci apprestiamo a raccontare è quindi indissolubilmente legata non solo alla devozione dei cittadini sanremesi e alla carità dei confratelli, ma anche alle peculiarità del territorio e alle tradizioni locali conosciute ancor oggi in tutto il mondo.

 

LE ORIGINI: L'INSEDIAMENTO A SANREMO E LA PESTE

I frati Cappuccini si insediarono a Sanremo nell’anno 1578, quando ricevettero in dono dal nobile sanremese Pietro Sappia un modesto chiostro che sorgeva a circa duecento metri dall’attuale convento, nel terreno soprastante l’odierna piazza San Bernardo. 

A porre la prima pietra fu l’allora vescovo di Ventimiglia, mentre a ricoprire la carica di superiore era padre Agostino da Genova, il quale, oltre a essere rimasto nella memoria per le opere compiute presso il santuario di N.S. della Misericordia di Savona, risultò fondamentale per lo sviluppo e l‘integrità della comunità sanremese.

Proprio nel 1579, infatti, si avvicinava nella cittadina di Sanremo lo spettro terrificante della peste. Il morbo aveva già colpito i borghi limitrofi di Poggio e Ceriana, lasciando dietro di sé un numero considerevole di morti: il timore era che l’epidemia colpisse il centro molto più popoloso di Sanremo.

A raccontare questa vicenda è tale Gio Batta Palmaro, ufficiale della sanità spesso di visita al convento, che ricevuto padre Agostino presso la propria dimora gli promise di donare un forno e dodici mine da farina, in modo che in frati rimanessero al sicuro nel convento e non dovessero mai uscire rischiando il contagio. 

Ma il rifiuto di padre Agostino fu celere e inoppugnabile: se la comunità era in pericolo, allora i frati cappuccini dovevano accorrere in aiuto con tutti i loro mezzi. Così, dopo aver rassicurato che i frati sarebbero andati a soccorrere i cittadini persino nelle campagne se ne fosse stato bisogno, rassicurò l’ufficiale con queste parole:

«Se la peste verrà in questa terra, spero non vi farà progresso: raccomandatevi al Signore e state di buon animo»

Il monito di padre Agostino sembrò essere provvidenziale per gli eventi in procinto di accadere, poiché la peste non intaccò quasi per nulla la cittadina, provocando in tutta l’epidemia solo tre morti.

IL SEICENTO, SAN LORENZO DA BRINDISI E I FATTI MIRACOLOSI

Agli albori del secolo XVII il convento è ben avviato, e riceve in abbondanza l’apprezzamento dei fedeli locali e di moltissimi venuti da fuori. La popolarità del convento aumenta ulteriormente quando, nel 1616, giunge in visita san Lorenzo da Brindisi, allora provinciale della Liguria. 

In quei giorni una donna si reca al convento, portando con sé il marito, infermo e costretto a letto da parecchi anni. Senza esitare san Lorenzo da Brindisi dona la propria benedizione all’uomo malato, che quella stessa notte può dormire un sonno finalmente tranquillo, per svegliarsi la mattina dopo completamente guarito, dopo anni di sofferenze.

Ancora più straordinari sono i fatti che vengono registrati dai consiglieri della comunità, che in seguito alla visita del santo descrivono un avvenimento incredibile: per tre mesi continui, dal giorno della festa di San Siro (7 luglio), il convento dei cappuccini viene avvolto ogni notte da lumi di diverse forme e dimensioni, a volte sopra, a volte attorno, a volte dentro lo stesso convento.

«e nel vedere detti lumi e splendori, al principio agli spettatori causava terrore, commozione di contrizione e dolore dei peccati, restando poi spiritualmente consolati».

Sono questi anni d’oro per il convento dei cappuccini, che ricevono negli anni seguenti visite e conversioni da tutti i paesi limitrofi, fino a registrare più di settemila comunioni nel giorno della Natività di Maria SS. dello stesso anno. 

1630: IL PRIMO TRASFERIMENTO E LA COSTRUZIONE

Per quanto relativamente giovane, il convento ha già conquistato il cuore e lo spirito dei fedeli sanremesi, che essi contraccambiano con servizi sociali e spirituali. Ma in seguito a una stagione fortemente piovosa, nel 1630 compaiono le prime lesioni nel convento, e chiamati a valutare i periti della città, si stabilisce che gli edifici siano dichiarati inagibili: cominciano qui le vicende che nei secoli a venire segneranno il destino “errante” dei cappuccini sanremesi. 

Il primo trasferimento avviene quindi nella chiesetta di San Mauro, alla marina (Oggi chiesa di Nostra Signora della Misericordia Marina, dove i frati vengono accolti nelle poche stanzette messe a loro disposizione. Nel 1632, addolorato per i fatti, padre Bartolomeo di Taggia, all’epoca priore, prega il vescovo di ricevere il placet per piantare una croce in buona volontà di ciò che verrà. Prima dell’abbandono definitivo del convento viene tentata un’ultima opera di recupero, ma il terreno si rivela presto troppo franoso e umido.

Un comitato allora formato da Gio. Battista Gandolfo, Francesco Sachero, Gio. Antonio de Andreis e Gio. Massa, sceglie un terreno allora chiamato “Braia” in cui edificare la nuova chiesa e convento, che viene acquistato per seicento scudi dal vecchio proprietario Enrico del Carretto. Il 30 novembre del 1941 monsignor Costa, vescovo di Albenga, pone la prima pietra in quello che è l’attuale sito della chiesa. 

Il costo dei lavori viene sostenuto in maggior parte da un fratello “opulentissimo” di tale padre Agostino Centurione da Genova, allora guardiano della congregazione. L’uomo pio a cui vengono affidate le spese si adopera grandemente per fare arrivare i materiali in tempo da Genova, e la comunità ricambia generosamente con il proprio operato. Ma il benefattore viene a mancare a metà dei lavori; in segno di ulteriore gratitudine, i comuni cittadini iniziano ad affiancare gli operai nella costruzione del convento, e si può dedurre che nel 1946 i frati già abitassero il nuovo convento. In questi anni molti nobili ottengono di porre il proprio sepolcro familiare: tra questi Sebastiano Sardi di Genova, il conte Gio. Pianavia Roverizio che innalza la cappella di San Felice da Cantalice, e Pietro Giuseppe Sapia che fa costruire quella di san Fedele da Sigmariga. 

Interessante dettaglio, proprio nell’anno dell’inaugurazione fa visita il padre generale dei cappuccini, che rimane piuttosto contraddetto dallo stile della facciata, così lontana dai canoni di umiltà e povertà propri dei cappuccini. Questo filone “libertino” del convento sanremese rimarrà comunque un elemento distintivo, unico su tutto il territorio nazionale, e degno per questo di attenzione e apprezzamento.

IL SETTECENTO: LE OPERE D'ARTE E GLI INTERVENTI DEI CAPPUCCINI

Per quanto le ansietà sembravano essersi esaurite, nel 1685 nuove lesione furono rinvenute nel convento, che sorgeva ancora su un terreno limaccioso al limite occidentale della città, zona ancora scarsamente edificata. Vennero a quel punto subito avviati dei lavori di sottomurazione di rinforzo lungo tutto il perimetro dell’edificio e sotto le pareti interne, in questo modo si diede all’edificio una nuova stabilità. 

In questo periodo si testimonia anche l’arrivo delle maggiori opere d’arte del convento. Prima tra tutte il nuovo altare maggiore ligneo con l’ancona e il tabernacolo, un piccolo capolavoro di arte barocca, al cui centro viene posta la statua dell’Immacolata, anch’essa degna di nota per la variazione sul tema scultoreo; assieme alla tipica mezzaluna che sorregge l’Immacolata, viene rappresentato anche un demone/serpe, sconfitto dalla beatitudine della Madonna. Giungono anche i due quadri raffiguranti Tobia e il sacrificio di Abramo; viene edificata la cappella di Sant’Erasmo e il presepio, che finirà distrutto due volte dal fuoco (1754 e 1883) e due volte ricostruito, l’ultima nel 1885.Infine nel 1689 il complesso conventuale viene collegato per mezzo di una strada rettilinea al borgo del Piano, strada che ancora oggi porta il nome di “via dei Cappuccini”.

Di quegli anni vanno ricordati due eventi fondamentali per comprendere il ruolo di ascendenza morale e di fiducia provata dal popolo nei confronti dei frati. Dopo numerose richieste da parte dei devoti sanremesi, i cappuccini locali ottengono dal papa in persona la facoltà di amministrare il sacramento della penitenza, di norma precluso, e fornire così un servizio che la comunità richiedeva e caldeggiava.

In secondo luogo, diventa in quegli anni un problema di pubblica sicurezza la localizzazione del cimitero di Sanremo, allora situato a ponente della chiesa della ss. Concezione, nei pressi dell’odierna piazza San Siro. Mentre la politica sosteneva la necessità di spostare il cimitero in zone più appartate ed evitare così i miasmi pestilenziali, il popolo si opponeva fermamente. È proprio l’intervento di padre Giuseppe Zirio a tranquillizzare gli animi e a convincere il popolo a far traslocare il cimitero, al posto del quale sorgerà la bella piazza di cui oggi i sanremesi godono immensamente.

L'OTTOCENTO: L'ESODO E LA TRASFORMAZIONE URBANA

Gli annali riportano che se «i trambusti politici non avessero sconvolto parecchi anni la Liguria e disperso i religiosi, esigliandoli poi dal loro pacifico chiostro», i cappuccini avrebbero goduto ancora a lungo della loro dimora e dell’affetto dei cittadini sanremesi. Sebbene non sia facile risalire agli avvenimenti esatti, sappiamo che i frati furono cacciati dal convento, che rimase disabitato e abbandonato per decenni. 

Quello che è invece chiaro è l’impegno che la popolazione impiegò presso le autorità religiose e civili al fine di riportare l’ordine nella città di Sanremo. Il 13 ottobre 1815 l’intendente D’Aste scrive all’intendente generale di Genova sig. Castellani Tettoni che «la popolazione attende con impazienza il momento di veder riaprire il Convento dei P.P. Cappuccini e di essere nuovamente assistita dai medesimi nei suoi bisogni spirituali». L’Intendenza di Genova accoglie con benevolenza la richiesta, inoltrandola al regio governo.

Negli stessi giorni a pregare il re di riaprire il convento è un sanremese ancora più celebre. Il Marchese Borea d’Olmo scrive sig. Cardinale Spinola, all’epoca di dimora a Torino negli edifici regi, supplicandolo con queste parole: 

 «l’Eccellenza Vostra si è compiaciuta di farle conoscere che non sarebbe difficile di ottenere dal Sovrano una tale ripristinazione, ma che non essendo forse il Governo in istato di supplire alle spese necessarie alle riparazioni del convento, sarebbe d’uopo che il Comune se ne incaricasse e che in tal caso essa pareva disposta a farci accordare dalla Sovrana beneficienza la richiesta autorizzazione».

È proprio grazie a queste parole devote, e all’azione sempre più fragorosa dei cittadini, che il Regio Governo concede la riapertura e il restauro del Convento. I cittadini accolgono il ritorno dei frati con una celebrazione solenne, con tutte le autorità cittadine, la banda e il Vescovo in persona a benedire il ritorno dell’Ordine. Si vivono dunque anni nuovamente sereni, almeno fino al 1855, quando iniziano le espropriazioni.

Nel 1855 una parte dell’orto dei frati – celebre in tutta la provincia per la fragranza degli agrumi e la ricchezza degli ulivi – viene sacrificata per allargare la strada che fiancheggiava il convento e nello stesso anno tutta la terra di proprietà dei Cappuccini viene acquisita forzatamente dal demanio. Negli undici anni successivi, ai frati rimasero solamente la chiesa e poche stanze nelle quali dimoravano. Quello che diventa un giardino pubblico, lì dove sorgeva l’orto dei cappuccini, viene acquisito nel 1897 da una società francese con il fine di costruire il Kursal, una sala da gioco che da lì a pochi anni sarebbe diventata il Casinò di Sanremo. 

Venne quindi definitivamente demolito il convento, lasciando solo la chiesa, anch’essa inizialmente destinata a scomparire, ma sopravvissuta grazie all’opera pia di padre Francesco da Fivizzano. È in questo momento che appaiono nuovi abbellimenti della facciata, richiesti esplicitamente perché non vi fosse troppo distacco con lo stile liberty del Casinò.

«Spesse volte, quando a pochi metri di distanza, nel Kursaal fervono le danze e le musiche, e l’oro scintillante sui tavoli mette l’ebrezza del giuoco, fra tanta vita di senso e di cupidigia, giunge squillante la campanella dei frati che invita a Dio e alla preghiera…»

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